Fenomeni,
eventi e scambi culturali ibero – barbaricini.
Da sempre ritenuta una delle zone più
impervie ed inaccessibili dell’isola già dai tempi della dominazione Punica,
documentata dai Romani come zona di battaglia e di difficile penetrazione,
anche all'occhio dei conquistadores spagnoli,
la Barbagia[1]
si pone come arduo e inconquistabile territorio.
Forse mitologia, frutto di quella “tradizione
orale” che nell’isola coinvolge a dismisura le masse popolari, forse una sorta
di “strumentalizzazione storiografica” effettuata dal governo sabaudo volta a
denigrare i quattro secoli di presenza iberica, fino ai primi del Novecento, la
dominazione, ma soprattutto l’interscambio degli spagnoli con le zone
dell’interno veniva tralasciato o tenuto nascosto; e tradizione popolare vuole,
che sia degli spagnoli il detto più famoso nei confronti della presunta
disomogeneità delle genti isolane: «Pocos, locos y mal unidos»[2].
Per fortuna, grazie all’evoluzione delle
Università sarde, la presenza sempre più grande di menti attive nell’isola, e l’avvento
della modernità e della ricerca storico-scientifica si è arrivati a
riclassificare e valorizzare il contatto, l’interscambio, il compendio di tutte
le tracce che tutt’ora formano un continuum
tra le genti spagnole e le genti sarde delle Barbagie. A partire dagli anni Sessanta,
diversi ricercatori hanno cominciato a riscrivere la storia della Sardegna
ispanica con la dovuta obiettività d’analisi e con «una visione dei problemi
che guarda al di là del mare»[3].
La successiva “scoperta” della documentazione degli archivi di Barcellona e di
Simancas[4],
una documentazione straordinaria per qualità e quantità ma sino ad allora
ignorata a causa dell’isolazionismo della Spagna franchista[5] e
del “localismo culturale” degli studiosi sardi, ha consentito specialmente a
dei pionieri come Alberto Boscolo e Francesco Loddo Canepa[6]
d’avviare un sostanziale rinnovamento dei contenuti della ricerca storica
regionale. Grazie a studiosi quali
Francesco Manconi, Joaquìn Arce, Luigi Spano, Francesco Alziator, Francesco
Cesare Casula, Jordi Carbonell, Giulio Paulis e tanti altri; si è arrivati ad un ottimo livello di
analisi storiografico-scientifico che propone a grandi caratteri, costruiti con
solide basi, quanto è stato della Sardegna Spagnola e ciò che la Sardegna ha
proposto come contropartita, seppur obiettivamente inferiore, insieme al “congegno
magico” che forma una sorta di continuità che strettamente lega l’animo delle
due terre, riguardante diversi tratti e diverse composizioni della società.
Scrive Manconi: «il profondo radicamento della tradizione ispanica,
specialmente di matrice catalana, non riguarda soltanto le classi alte, la
nobiltà ed il clero. Anche i ceti popolari sono profondamente influenzati dalla
secolare appartenenza all’orbita della civiltà iberica. Non solo la cultura
popolare e la pratica religiosa, ma anche le consuetudini della vita civile ed
economica conservano tracce profonde della “spagnolizzazione” della Sardegna»[7].
Non a caso «nella non ricca ma significativa
letteratura di viaggio di Catalani in Sardegna fra Ottocento e Novecento è
ricorrente l’espressione di stupore, di sorpresa gradita, per intellettuali
come Eduard Toda y Guell e Ramon Violant y Simorra, di fronte a una continua
scoperta di analogie, di “eguaglianze”, di prestiti, di influssi inequivocabili
della civiltà catalana nella realtà della Sardegna, non soltanto a Cagliari e
ad Alghero, ma soprattutto nei più appartati villaggi dell’interno e della
montagna»[8].
Muovendo da queste significative
considerazioni, per l’elaborazione di questa tesi ho rivolto l’attenzione e il
mio interesse verso alcune località che durante l’epoca spagnola hanno
rivestito un’importanza chiave per la Corona d’Aragona prima e per i Re Cattolici
poi, mettendone in luce le “tracce principali”.
Prima di proporre il prospetto dei
Centri Urbani in questione, descrivo – seguendo l’impostazione adottata negli
studi dal prof. Alziator e dal prof. Joaquin Arce nelle rispettive
pubblicazioni[9]
– la classificazione generale per ambiti e categorie, nei quali si fa il punto
della situazione.
F.M.
[1] Leggendario nucleo della Sardegna più selvaggia, la regione
della Barbagia deve il suo nome ai Romani, che la chiamarono Barbaria perché
inconquistabile. Si distende tra Nuorese e Goceano a Nord e Gennargentu e
Mandrolisai a Sud, spartendosi nelle zone di Ollolai, Belvì, Bitti e Seùlo. All’interno di essa
i paesi presi in analisi in questa ricerca: Aritzo e Meana Sardo (Barbagia di
Belvì), Atzara (Barbagia Mandrolisai) Laconi (al confine tra Barbagia e
Sarcidano) e Seui (Barbagia di Seulo).
[2] Noto detto ricorrente in
Sardegna attribuito ai conquistadores spagnoli
dalla tradizione orale.
[3]
Francesco Manconi, Introduzione in
Francesco Manconi (a cura di), La società
sarda in età spagnola, Cagliari 1992.
[4] Comune spagnolo di 3.952 abitanti situato nella comunità autonoma di Castiglia e León. Simancas fu sede dell'Archivio di Stato istituitovi dall'imperatore Carlo V e dal suo potentissimo segretario Francisco de Los Cobos nel 1540. La scelta di Simancas fu determinata
dalla sua vicinanza a Valladolid allora capitale amministrativa della Castiglia.
[5] Fu il regime politico dittatoriale instaurato in Spagna nel 1939 dal generale Francisco Franco e durato fino alla sua morte, avvenuta il 19 novembre 1975. La Guerra civile spagnola terminò ufficialmente il 1
aprile 1939, giorno in cui Franco annunciò la
fine delle ostilità, con la sconfitta della Repubblica.
[6] Alberto Boscolo (Cagliari, 1919 – Roma, 1987) è stato uno storico italiano studioso in
particolare della Sardegna medievale. Laureatosi nell' Università di Cagliari, diventò assistente nella Facoltà di
Lettere. I suoi interessi furono subito indirizzati allo studio dei rapporti
tra Sardegna e Spagna, e in particolare al
periodo giudicale e aragonese e su queste tematiche, che continuerà
ad approfondire per anni, diventerà una sorta di capo scuola. Francesco Loddo Canepa fu uno storico e alto funzionario
di Stato. Nacque a Cagliari nel 1887. Si laureò in giurisprudenza nel 1909.
Assunto nell'Amministrazione degli archivi di stato di Torino, conseguì nel
1914 il diploma in paleografia ed archivistica.
[7]
Francesco Manconi, La società sarda in
età spagnola,Cagliari, 1992, Introduzione..
[8] Francesco Manconi, L’eredità culturale, in Jordi Carbonell,
I Catalani in Sardegna, Pizzi,
Cinisello Balsamo (MI), 1984, p 217.
[9] Francesco Alziator, Il folklore sardo, La Zattera, Cagliari,
1957; Joaquin Arce, La Spagna in
Sardegna, Cagliari, T.E.A., 1982.
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